Velvet
2004
Velvet /2004
Installazione
Galleria Desia/Bologna
Velvet Bianco
Bianco
volteggiava su se stessa e continuando a volteggiare si perdeva,
tracce come la morte.
Il dolore è così vuoto da risuonare dentro come cristallo
o come silenzio infinito
Di tutti i silenzi quello della solitudine.
Gli ospedali devono essere bianchi,
e le lenzuola pulite,
e devi farti buoni i carcerieri
Bianco, pulito
e un’anima candida,
fatti portare via la vita,
nomi e medicine definitive per cercare una forma di te,
ma distraiti:
le cose ti verranno incontro spargendosi in un disordine
che è sistema
e ti sorrideranno, hanno sorprese.
Entra nel cerchio bianco del vuoto
il grande bianco, quello dell’anima, sei tu
è metafisica che dentro ha l’oro
magia come il bianco del tuo daimon
e il bianco corpo del terrore.
E in questo vuoto bianco sono le parole:
che risuonano e ti accompagnano in una stanza bianca,
in un urlo staccato e nella follia
è vuoto non spirito
e in questo vuoto bianco
sorridi al mio corpo
che darò via come carta bianca,
sorridi ai miei errori che daranno quanto potevo,
bianca come una sposa abbraccia,
sorridi ai colombi con le ali di bitume.
E per avere pace
vai ovunque il prezzo che paghi valga meno della vita,
la paura sicuramente è bianca.
Cosa devo fare per essere accolta? Darò tutto di me,
ma il bianco della mia verginità mai.
Si va nelle stanze bianche per bianca crudeltà,
là non puoi esibirti con pantomime
Quante volte? forse venti.
Quante violenze? forse due.
Quante svendite? forse troppe.
Quanta pace c’è nel bianco.
Urla ti prego urla.
Vorrei che qualcuno cantasse le mie parole
in un blues bianco
vorrei essere accolta in una stanza bianca e riposare
dalle nere parole che ti fissano e pesano come la rabbia.
Gonfia di rabbia pesava troppo per volare con gli angeli
gonfia di rabbia era inattaccabile da qualsiasi farmaco
gonfia di rabbia non ti faceva avvicinare.
Urla fuori dal bianco e non ricordare più le colpe che non hai
Dolcissima, ti coprirà la primavera
silenzio d’oro, bianco che non vorresti,
sdraiati sul tetto e aspetta che i tuoi occhi si dilatino:
Da che parte senti? Cosa ti hanno portato i sogni?
Dillo ogni giorno di nascosto, in un angolo, racconta il tuo segno,
Il giorno sta crescendo entra e sorridigli
non voltarti,
ti amo.
Velvet Rosso
Davanti alla porta c’era un’altra porta uguale, tutte e due davano su un corridoio,
stava uscendo per il solito giro
dalla porta davanti colava un rivolo di sangue, denso e rosso,
quel brillantissimo veleno
che ha dentro tutti i colori,
vederti in un altro atterrisce.
Le tue dimensioni ritornano umane,
irrimediabilmente lontane dalle tue fantasie
ricordati per un attimo di te,
perdona il diverso e i tempi deformi
il cuore pompa ed è solo un secondo di accoglienza:
il dolore ti sveglia:
ti ricorda.
In quei luoghi l’unica carezza-cura è il dolore di un altro degli altri,
forse la cosa più difficile da accettare
non c’è più posto per piangere, non c’è più tempo per aspettare.
Hai detto?
Nessuno ha visto.
Hai bisogno? La tua necessità urla? Ci sono posti?
Abbraccio,
il dolore è l’abbraccio
nella disperazione di aprire giornate di odio.
Ti spogli velocemente a luci rosse.
Spogli forse la tua anima?
Potrò lasciare scie di me, pezzetti sanguinanti del mio strascico, lungo
animo spezzato da parole dure che non ti abbandonano e ti ingannano.
Senti
le malattie pronte come moda,
uno scaffale per ogni sentire,
togli la rabbia, la paura
mamma, papà,
sei solo monetine e misure.
Urla se puoi nel rosso
nel profondo, nel femminile
c’è uno scaffale per ogni cosa e un posto freddo adeguato,
nomina ciò che ti appartiene, ricordati la pagina
il sintomo, la causa
e il suo razionale.
Quanto può durare un amore un orgasmo un affetto?
Quanto sei disposto a pagare?
Ti darò gratis il mio corpo, la mia rabbia, il mio silenzio,
tu mi darai il tuo piacere
Dammi luoghi dove sussurrino al mio orecchio parole di sconosciuti,
guarda gonfiarsi le curve al tramonto,
fermati e guarda le anse della terra e i suoi tagli,
abbandonati e immergiti nel rosso
fissa gli occhi nel silenzio dell’arancio nell’infinito
senti nella bocca il sangue,
riproduci e dona
arancio rosso denso pulsante.
Quanti muscoli muovono il tuo corpo?
Quanti muscoli si tendono nei tuoi piedi?
Fai pausa nelle curve di te, nel ventre dentro.
Quale muscolo è a riposo?
Sono stanca, stanca,
allungo il passo, finita è la passeggiata, per sempre,
allungo il passo e mi butto via per sempre,
abbandona gli assoluti agli angeli caduti per occupare gli angoli,
prendo la tua mano e carezzo tutte le mie ombre,
mi avvicino piano e apro la bocca in una richiesta che ti sommergerà:
Perché mi lasci? Perché mi abbandoni?
Abbracciami.
Tutto quello che mi si avvicina sarà divorato, tutto quello che è lontano sarà bellissimo
Velvet Blu
Di ghiaccio erano i bambini nel lago e la luna non diceva niente
era così d’argento che le pupille ti si rompevano,
piccoli folletti vagavano intorno urlando
giocando con alberi, boschi e oggetti abbandonati
i bimbi, invece, ne andavano in solitudine, incompresi, per elenchi vagavano
forme strane, che al primo sguardo sembravano macchie, si avvicinavano
si dilatavano e apparivano in visioni,
occhietti soli e brillanti dal basso parlavano e con il ritmo delle onde ballavano
e comparivano crudeli faccine ringhianti e sparivano cose e animali,
perché temevano nel blu della paura
e tutti aspettavano il blu di qualcuno mentre
le ombre si dilatavano.
Attraversa il tuo corpo
Corri – è un dolcissimo paesaggio lunare –
Scivola sulle tue curve, sui blu di ghiaccio,
sulla solitudine che sconti da un mondo cieco,
e tutte le cose, spezzate, urlano di rabbia
lontane fra loro
corri via, corri verso l’abbandono e
sciogli il tuo respiro dentro le cellule di tutti i blu e gli azzurri dell’acqua
porta a bagnare le tue ferite in acque salate
e il distinto nell’indistinto,
senza carceri,
senza chiudere, senza usare la parola come violenza,
senza definizione certa,
corri attraverso un bosco azzurro di terrore,
sanguina per consolarti del tuo abbandono.
Senti le voci risuonare, sono le tue e delle anime,
attraversa la dolcezza della notte spezzando coi denti il ghiaccio
abbandònati e riposa nelle visioni
assetata assetato d’altri, sogna di tutti
di tutte le fiammiferaie e le culandrone cenerentole,
aspetta la luna e urla il tuo blues di rabbia
sgocciola sangue e va’ perché ricordino che sei viva
distogli lo sguardo dal certo
alza gli occhi e portali dentro di te,
sogna abbracci non avuti
fuggi nelle foreste blu notte, nelle fiabe degli idealisti,
nella crudeltà delle utopie,
lascia che la vita riposi nelle dolcissime forme del tuo cuore
non ragionare, cammina finché avrai dimenticato le ferite
ma ricorda i segni che porti.
Nel velluto di un paesaggio lunare,
urla la rabbia dell’ingiusto e della fame mai saziata
e dentro, nel tanfo di finto e di catrame di chimica e di soia
di tutti gli azzurri di tutti i blu dei verdi dei gialli dei neri,
di tutto quello che il colore porta,
respira atomi di polvere,
senti la pelle alzarsi, sentila nelle gambe,
nel ventre,
urla di silenzio, urla di rabbia.
Avvicinati con dolcezza a te e guarda
accarezzati, proteggi le tue curve, avvicinati.
Il tuo io nel blu
i ricordi nel blu
i finti folli,
il blu delle mancanze,
il blu dell’abbraccio.