Embodying differences
2016

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Una geografia emozionale sospesa tra corpo e concetto

Stefano Blasi
Psicologo, psicoterapeuta, docente di psicologia delle dipendenze presso l’università di Urbino Carlo Bo’

Se arte è la capacità di trasmettere emozioni, Silvia Fiorentino incarna questa capacità. I suoi codici espressivi sono molteplici, come molteplici i suoi linguaggi. Ma perché arte? Arte in latino è Ars e in greco è Tέχνη e significano la capacità di produrre materialmente oggetti. Questa caratteristica di “artigiana” è ben rappresentata dall’autrice, ma la Fiorentino trascende questa caratteristica e diventa “artista”, creatrice di simboli e di messaggi e abbraccia non solo le arti figurative o belle arti, coniugando personalmente pittura, disegno e scultura, ma anche altre arti visive come la fotografia e la scrittura, ed in particolare la poesia. Le sue installazioni nel tempo hanno incluso anche voci e musiche, esprimendo una vera e propria vocazione multisensoriale, che stupisce, seduce o respinge lo spettatore, ma che non lascia mai indifferenti. Siamo quindi di fronte ad un’artista poliedrica, che con la sua poetica cerca instancabilmente di instaurare un dialogo ed una relazione col mondo, di tracciare una mappa per la sua “geografia emozionale”. Una relazione tormentata che alterna squarci, silenzi sospesi e distanze ad improvvisi e arditi riavvicinamenti. E l’arte diventa tentativo di comunicazione, introspezione e terapia. Il linguaggio della Fiorentino non è facile, commerciale o edificante, ma non vuole esserlo perché personalissimo è il suo messaggio, in una continua tensione tra carnale e concettuale. E lì, nell’indefinito, nel varco, si annida il bisogno primitivo di comunicare dell’artista e si rinnova l’invito che l’autrice fa alla creatività di chi riceve il suo messaggio, al colmare lacune di senso, tra essenzialità e complessità. La sua forza è rappresentata dal tentativo continuo di accorciare le distanze tra sé e l’altro, fino ad azzerare lo spazio tra artista e il suo prodotto, rappresentandosi lei stessa, a volte, nell’opera d’arte. Lo spettatore d’altro canto è spinto ad avvicinarsi alle sue opere, a toccarle, restando colpito da quei brandelli di vita, nella speranza di coglierne l’essenza. Se il linguaggio della Fiorentino non è privo di lacerazioni, di ferite e di strappi, il dialogo resta invece aperto, coraggioso, mai domo, in bilico tra sacro e profano, in un anelito di autenticità. Il linguaggio della Fiorentino è un linguaggio pieno di interrogativi, incarnato, fatto di “spazio-corpi”, di volti senza volti che si esprimono nei colori e nelle forme. Il suo è sempre stato un messaggio al femminile, che, con le cicatrici d’amore del suo “Metodo Effe”, cerca di innalzare architetture sentimentali, in un tentativo etico ed estetico di dare voce alla creatività della donna, sempre sospesa tra corpo e anima. Il messaggio della Fiorentino, sempre in divenire e alla ricerca di nuovi orizzonti, nel tempo si è trasformato da un vibrante saccheggio di vita a questa sua ultima produzione, che appare più dolce, consapevole e distesa. Un nuovo approdo?

 

 

 

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Embodying differences

Giovanna Curatola
Docente di Neuroscienze e psicoanalista di formazione junghiana

Quali territori siamo invitati ad esplorare da questa lingua “straniera “ che trasforma un titolo in una perentoria enunciazione ? La domanda ci costringe ad entrare, da subito, in quella appassionata dimensione di ricerca che anima da sempre il lavoro di Silvia Fiorentino; artista interessata a svelare la complessità soggettiva ed intima del processo creativo più che la compiutezza formale dell’oggetto creato.
Non a caso molteplici sono i materiali e i registri espressivi usati che trovano una sintesi quasi narrativa nella dimensione spazio- temporale che vengono ad assumere le sue opere in ogni singola esposizione e che si manifesta esplicitamente nella articolazione complessa delle istallazioni quale strumento espressivo prediletto. In questa prospettiva la molteplicità e le metamorfosi disegnano e descrivono il divenire del processo creativo che tenta di estrarre, in un appassionato corpo a corpo con la materia oscura di ogni creazione, la specificità del soggetto femminile.
La complessità dinamica del lavoro di Silvia Fiorentino trova nella tematica della differenza, quella di genere come emblematica di tutte le differenze, il suo inesauribile nucleo propulsore. Non si tratta di dare voce alla differenza nel piano sociologico del politicamente corretto, né su quello del conflitto che ha connotato il femminismo ma di esplorare come la soggettività femminile possa produrre codici propri in un universo linguistico e culturale che si è preteso essere universalmente neutro. E non si tratta neppure di conciliare dialetticamente o psicologicamente gli opposti piuttosto di percepire la provocazione con cui ci sollecitano.
Il corpo a corpo con l’oscurità sensoriale ed emotiva, deposito di vissuti arcaici che perennemente risuonano, è un tema caro al femminile e si fonda sulla necessità di definire il proprio essere come differente dall’essere della madre, un differenziarsi all’interno dell’identico, una sorta di condizione paradossale. Dinamica concreta e simbolica irta di inganni e di pericoli nonché di una, spesso dolorosa, incandescenza affettiva . L’artista diviene testimone del limite da cui si genera la differenza come esperienza vissuta innanzitutto nel corpo proprio e non descritta o concettualizzata dalle pratiche culturali. Inevitabile l’urto con un altro limite e forse un più difficile corpo a corpo con il deposito simbolico della cultura e del linguaggio per estrarne strumenti e rappresentazioni che non siano neutri ma sintonici con la soggettività in qualsiasi corpo essa si incarni.
Nella nostra lingua corpo confina con materia e non con vita , non abbiamo un nome per nominare il corpo vissuto il “ lieb” tedesco visto che incorporare la differenza è poterla sperimentare ed esprimere a partire dal corpo. Una lingua straniera ci soccorre nella quale “embody”, “ incorporare “ , può tradursi con risonanze più evocative con “incarnare” e il presente continuativo sta ad indicare che l’incarnazione è opera perenne che non può esaurirsi in astratte formulazioni .
Dunque “ embodying differences “ ci indica più efficacemente la doppia opera di traduzione quella dalla oscurità che abita l’interiorità del sentire e quella dalla oscurità che i linguaggi svelando continuano a costruire. Corpo a corpo e traduzione vengono così a costruire una modalità o meglio un metodo che, al di là del genere, può accogliere e descrivere ogni differenza soggettivamente e collettivamente intesa.
La ricerca teorica ed estetica di Silvia Fiorentino sollecita ad interrogare con eguale passione e turbamento la complessa dinamicità che le sue opere svelano ad uno sguardo partecipe delle suggestioni e delle profondità da cui sono generate.
Embodied differences si colgono, oggi, nel silenzioso dialogo tessuto fra l’ arcaicità delle teste bianche, che sembrano aver preso forma emergendo direttamente dalla materia, e l’eleganza delle teste dai colori e dalle lucentezze rinascimentali che la storia su di esse ha depositato. Dialogo che risuona con il rispecchiamento di sguardi e lontananze fra le teste e la dame rappresentanti di quelle sedimentazioni dell’immaginario che per secoli ha descritto la donna prima che essa stessa potesse culturalmente rappresentare la propria soggettività.

 

 

 

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La lorica di Silvia Fiorentino

Simona Cardinali
Storico dell’arte, Pinacoteca civica di Jesi

Tutti i palazzi nobili hanno ospitato nel corso della loro storia ritratti di donna. Dal rinascimento in poi , gli artisti dedicarono particolare cura alla resa di volti femminili, i quali non esibivano gesta o vittorie, ma immortalavano i tratti peculiari di donne stimate, amate o incaricate a rappresentare la loro casata. Le donne, catturate nell’abile tecnica degli artisti, o si mostravano come esempi da seguire per le altre dame della corte o divenivano immagini di adorazione e venerazione. Oggetto di un amore appassionato, esempio della fedeltà coniugale o fiera rappresentante di una dinastia , la donna dipinta si pone come una creatura su cui focalizzare un desiderio,individuare un punto di riferimento o esibire un potere di famiglia; la proiezione, in ogni caso, di una necessità spesso sentita dalla controparte maschile. Così gli sguardi, le linee delle labbra, le acconciature strizzate dentro abiti damascati, diventavano automaticamente l’espressione di una carattere che si intendeva “femminile”, un carattere che continuerà per molto tempo ad essere imposto da una società che vuole la donna costruita a pennello per il ruolo che le compete. Saranno i grandi passi della storia, dai quali seguirà un importante mutamento della società a trasformare quello che gli sguardi traducevano in un carattere “femminile”, dentro il quale era facile sentirsi costretti e sacrificati, in un metodo : il metodo femminile.
Qui interviene l’artista Silvia Fiorentino , consacrando all’interno di un palazzo storico, una sala ( la più suggestiva) al metodo femminile per mettere a nudo le sue armi e risevargli una degna investitura. Cinque volti di donna si fanno protagonisti dell’esemplificazione artistica di un metodo la cui forza si basa sulla individuazione delle differenze. Quelle prerogative che da sempre avevano delineato il carattere femminile ritornano ancora più forti per presentare un “genere” che però ora è libero di esprimersi nella sua complessità e vede nel confronto con il diverso da sè il senso della sua esistenza. Stoffe damascate dal gusto rinascimentale , si liberano dai corsetti per ospitare volti definiti da una linea intrecciata, identificativa dell’artista, su cui sapienti interventi di colori fissano una personalità ogni volta diversa. Ogni ritratto è una donna a sè, una caratteristica peculiare dell’essere femminile, una citazione dell’arte del passato alla quale corrisponde la materializzazione di una propria forma che si fa simbolica. Ogni volto tracciato su carta infatti, grazie alla delicata sensibilità dell’artista, innesca un sottile dialogo con la sua crisalide . In un perfetto equilibrio tra disegno e scultura, il salottino di Palazzo Pianetti, sembra proporci uno sviluppo interessante della ritrattistica femminile, dove le donne rappresentate si fanno simbolo della complessa varietà dell’essere femminile giocando con la matericità e la diversificazione delle tecniche artistiche. Come sempre accade nelle opere di Silvia Fiorentino, materiali diversi si combinano e danno vita a una delicata visione dotata di quella carica femminile che sta alla base di un metodo. Allora il diverso si fa punto di partenza dell’elaborazione artistica e diventa a sua volta il concetto finale della ragion d’essere delle opere di Silvia Fiorentino. La crisalide così fa lorica dell’essere donna, una corazza forte e appassionata nella diversità delle sue forme e nella grandezza di una sottile e intrigante sensibilità di cui non si può fare a meno.